giovedì 15 novembre 2018

|Recensione| Death House

Death House è finalmente arrivato. Per quei pochi che non sanno di cosa sto parlando, si tratta di un film horror realizzato ormai quasi 2 anni fa con un paio di meriti abbastanza notevoli: Il primo è la storia, pensata e scritta da Gunnar Hansen, il leatherface originale - deceduto nel 2015, mentre il secondo è sicuramente il cast da spavento, che raduna un vero esercito di horror star. Gente brutta come Kane Hodder, Tony Todd, Barbara Crampton, Bill Moseley, Vernon Wells, Michael Berryman, Felissa Rose, Sid Haig, Danny Trejo, Debbie Rochon, Dee Wallace, Brinkie Stevens, Camille Keaton, Bill Oberst Jr, Larry Zerner, Tiffany Shepis, Lloyd Kaufman, R.A. Mihailoff, Tony Moran e Adrienne Barbau come voce fuoricampo. 
Non per nulla è stato marchiato dai fans come "La versione horror de I Mercenari".



Con queste premesse, direi che è impossibile non farsi prendere dall'entusiasmo. Eppure, come vi ho già raccontato più volte, bisogna imparare a prendersi qualche minuto per riflettere. Incidenti come Smothered possono ricapitare. E di nuovo, per chi non è stato attento - Smothered è un film horror-comedy che radunava un gruppetto di attori Horror nei panni di se stessi (più o meno) che si perdono per una convention e finiscono in preda ad un serial killer. Idea stupenda sulla carta, realizzazione pessima su tutti i fronti. E mi duole veramente tanto dirlo, ma Death House è vittima dello stesso problema.

LA TRAMA

Il buon Gunnar Hansen non ci aveva visto male. Sarebbe perfetto radunare i più grandi mostri della storia e chiuderli tutti insieme in un posto per vedere che succede. E' più o meno quello che doveva essere, con questo enorme carcere Hi-Tech dove Barbara Crampton, Dee Wallace e il suo staff, tengono rinchiusi i peggiori serial killer di sempre mentre cercano contemporaneamente di estirparne il male facendo utilizzo di tecnologie futuristiche impossibili. Abbastanza inutile l'arrivo dei due poliziotti protagonisti, che praticamente saranno gli occhi dello spettatore, pronti a raccogliere le informazioni su come funziona davvero questa prigione da fantascienza, più o meno per tutta la prima mezz'ora di film.



E cosa c'è di buono in questa mezz'ora? Lo immaginate: la lunga sarabanda di attori che entrano in scena, fanno la loro battuta ed escono. Spesso sono ologrammi, altre volte un flashback, oppure semplicemente comparse sullo sfondo. Rimane il fatto che il fan del genere si diverte, e parecchio. E' un pò doloroso vedere anche un ologramma di Gunnar Hansen stesso, nei panni del nonno di un nuovo Leatherface, che questa volta è una donna (Debbie Rochon). Peccato che anche qui, si gioca solo sul fan service, senza nessuno scopo reale se non quello di fare l'occhiolino ai fan. Ovviamente tutto si movimenta un pò quando un esplosione di impulsi elettromagnetici manda in tilt il sistema di sicurezza della prigione, facendo uscire tutti i pazzi che iniziano a massacrare a destra e a manca. Tra questi spicca Kane Hodder, nei panni di Sieg, un tizio che - udite udite- ha la capacità di rigenerare le ferite stile Wolverine. E mentre tutti -detenuti e staff- dovrebbero cercare di puntare verso le uscite di sicurezza, decidono invece di puntare verso il basso, agli ultimi livelli della prigione (costruita tipo l'alveare di Resident Evil), dove ci sono i 5 pazzi più pericolosi di tutti. Ci volete coglionare?

LA RECENSIONE

Il film presenta veramente tanti problemi, troppi i momenti sensa senso, che sembrano inizialmente che porteranno verso qualcosa, ma che invece nascono e muoiono lì, a cominciare dall'esplosione degli impulsi EM, ovviamente generati da una bomba infilata nel corpo di una guardia ferita, che in realtà stava...soccorrendo...un bambino? Un bambino fuori dal carcere che non si sa bene cosa ci faceva. Sorvoliamo sul pessimo montaggio alternato, con Lloyd Kaufman chirurgo (HAHAHAHAHA) inquadrato per un secondo ogni 2-3 minuti di film in almeno 4-5 stacchi alternati, anche lui senza una pagina di sceneggiatura, credo. Poi c'è la cosa dei 5 mostri, presentati all'inizio come un qualcosa di sovrannaturale, tutti dall'età sconosciuta, tutti immortali, tutti con delle tutine antisommossa che li fanno sembrare pronti a qualche lotta, anche se in realtà non faranno niente se non starsene in piedi a parlare. 



Poi ci sono proprio le occasioni sprecate, che sono le cose che mi fanno incazzare di più. Kane Hodder vuole attirare l'attenzione verso gli altri detenuti. Gli sparano. Arriva R.A. Mihailoff (il terzo Leatherface), che gli strappa gli intestini per reclamare che è il più figo di tutti. Hodder però si alza e gli stacca la mascella. La sequenza dura meno di un minuto, ed è la cosa più decente nella prima ora di film. Perchè non farli combattere come su Hatchet 2? Perchè non creare una sequenza di azione splatter, con una piccola scena di lotta? O ancora, la già citata Debbie Rochon nei panni di una discendente di Leatherface, perchè non farla scorrazzare per la location con una motosega accesa mentre rincorre i due protagonisti?



Troppe scelte sbagliate, che portano tutte a momenti piuttosto noiosetti, e scene d'azione random piuttosto anonime, dalla scazzottata (l'unica) tra lo sbirro e un detenuto, fino alla stronzissima sparatoria nella tromba dell'ascensore in caduta libera con tanto di musica death metal. E come perdonare il finale? Un siparietto da teatro con un Bill Moseley pettinato che tira fuori uno spiegone su come non può esistere il bene senza il male, mentre Kane Hodder continua a ripetergli che lui è "uno di loro". Anche qui, dopo tanta preparazione vogliamo mostrare davvero qualche scorcio dell'inferno? E' tutto il film che ci rammentano "l'inferno non è una parola, ma una sentenza". Imperdonabile. 

CONCLUSIONE

Death House non è solo un occasione mancata. E' forse la più grande occasione mancata nella storia del cinema slasher. La sensazione di confusione che avrete quando sarete ai titoli di coda sarà tale da non farvi pensare subito allo spreco totale di tutti quei nomi. Lo smarrimento, il fatto di essersi persi qualcosa, non saprete subito cosa dire. E quindi ve lo ripeto io: E' un film semplicemente nelle mani sbagliate. Non voglio assolutamente dire che non c'è nulla di buono, come dicevo ogni volta che riconosciamo un volto noto, la nostra attenzione si alza, così come un paio di scene non sono malaccio, in particolare quella dei senzatetto spellati alla Hellraiser che urlano al microfono. Però è tutto collegato troppo male, e quei 4 effetti speciali splatter non mi distolgono abbastanza dal film che avevo pensato nella mia testa e che volevo vedere. L'idea del male, che non può essere curato perchè è una necessità, è una cosa molto buona, e infatti come dicevo all'inizio della recensione, Gunnar Hansen ci aveva visto giusto, solo che il film doveva finire nelle mani di qualcuno con un minimo di esperienza sul campo, che avesse anche un minimo di gusto per la messa in scena, qualcuno come Adam Green, per esempio, o Joe Lynch, Adam Wingard o anche Ti West. Non parlo neanche del budget, che alla fine la mancanza di soldi è nascosta benissimo, e tutto quel Hi-Tech lo fa sembrare più di quello che è. Però maledizione... VOTO: 2,5 /5

2 commenti: