mercoledì 13 febbraio 2019

|Recensione | Glass


Se c'è un regista che vale la pena di tenere d'occhio è M. Night Shyamalan. Nel 1999 aveva distrutto il botteghino con il Sesto Senso, e negli anni successivi ha ripetuto più o meno lo stesso risultato con Unbreakable e (un pò meno) con Signs. Nel 2004 con The Village è iniziata una parabola discendente che solo negli ultimi anni sembra riprendersi. Il nostro si definisce una specie di Hitchcock moderno anche se del vecchio Hitch non ha praticamente nulla. Di origini indiane, padre medico ma lui si appassiona da subito al cinema. Un bel problema, visto che i genitori non vedono di buon occhio la settima arte. Ovviamente si sono ricreduti quando hanno visto la faccia del figlio sulle riviste oltre alla vagonata di soldi entrata in casa.
I suoi film si basano tutti sugli stessi principi: Persone normali che alla fine si ritrovano a fare azioni straordinarie che non pensavano di riuscire a compiere. Che sia accettare qualcosa che era lì dal primo minuto, o sbloccarsi emotivamente da una paura che li teneva imprigionati. Registicamente ha uno stile semplice, quasi noioso: macchina da presa ferma. Molto ferma. Unico movimento di macchina che si permette ogni tanto è un leggero spostamento verso destra o sinistra, anche quello molto lentamente. Spesso poi la macchina da presa è fissa sulla star che sta ferma ad ascoltare, mentre un personaggio è di spalle. Anzi, porca miseria se gli piacciono i piani di quinta, diciamo che metà film è quasi costruito con un piano di quinta. Poi c'è il twist. Quella cosa in fase di scrittura che cambia tutto e rigira il finale come un coltello in un fianco. E questo per me è M. Night Shyamalan.


Ora, al cinema c'è Glass, terzo capitolo di quella che si è rivelata una piccola trilogia a sorpresa. E "sorpresa" è infatti la parola chiave quando si parla di Shyamalan.
Se la carriera del nostro era stata colpita duramente con Lady in the Water, quasi distrutta con l'ultimo dominatore dell'aria e proprio colata a picco con After Earth, c'è da dire che negli ultimi anni si è risollevato parecchio. E come sempre questo succede grazie al genere Horror.
The Visit era un piccolo film, neanche un capolavoro, eppure è un prodotto confezionato perfettamente, anche grazie alla bravura dei due ragazzini e allo stile semplice del mockumentary. E con Split invece si opta per costruire il film intorno all'attore, James McAvoy, il killer dalle personalità multiple, che forse arriva al sopranaturale quando si mostra la Bestia. La sorpresa in quest'ultimo era proprio il cameo finale di Bruce Willis, il sig. David Dunne di Unbreakable, che testimoniava il collegamento tra questi due film.

LA RECENSIONE

Glass è un film che si pone esattamente a metà tra i toni di Unbreakable e Split. Vuole essere da un parte un film che analizza il genere dei supereroi, mentre dall'altra qualcosa che ci psicanalizza a fondo. Nel primo atto, che reputo il migliore del film, succede quello che volevamo: Riprendiamo il personaggio di David Dunne dopo gli eventi di Unbreakable: Apprendiamo che Elias (Samuel L. Jackson) è in una struttura per malati di mente, e che Dunne ormai è conscio di essere una specie di supereroe, e come tale fa il vigilante con l'aiuto di suo figlio, che come Oracle per Batman, gli da suggerimenti via radio tramite i vari occhi che offre internet. Ed è proprio sulle tracce della Bestia, la personalità più mostruosa di James McAvoy, a piede libero dopo Split. Nei primi minuti il confronto fumettistico tra i due è inevitabile e bellissimo, non manca proprio nulla: Fabbrica abbandonata, pioggia, cheerleader da salvare, lotta imponente, e confronto finale all'aperto davanti alla polizia, che però - visto che siamo nella vita reale, interviene e arresta entrambi, portandoli proprio nel centro di riabilitazione dove è interinato Elias. Da qui il film arriva nella sua parte centrale che può piacere oppure o no: Sarah Poulson (American Horror Story), è una psicologa che cura proprio le "persone afflitte dal credersi dei supereroi" (esiste una patologia simile?). E ognuno viene psicanalizzato in dettaglio, una cosa che può appassionare lo spettatore, oppure annoiare, specialmente chi come me non aspetta altro che sentir parlare Samuel L. Jackson.


Perché per più di metà film, Elias a.k.a. L'uomo di Vetro, è in una sorta di rincoglionimento farmaceutico, anche se non ci crede nessuno fin dal primo minuto. E infatti, come ogni buon Lex Luthor/Joker che sia, sta solo architettando il suo piano speciale per lo stesso scopo del primo film: Far uscire i supereroi allo scoperto. E quindi Glass, è una specie di Unbreakable all'ennesima potenza, ci sono un paio di botte, qualche omicidio, introspezione e poi si, anche un minimo di commedia da parte del McAvoy bambino. La domanda di fondo è sempre quella: Esistono i supereroi? O sono solo "robaccia da fumetti"? E i mostri? Esistono i mostri? Secondo me la risposta è si, anche se ovviamente dobbiamo scendere a patti con la fantasia. I mostri esistono eccome, i serial killer e la cattiveria umana è una realtà che fa molto più male, mentre invece per essere un supereroe basta poco, a cominciare dalle piccole buone azioni quotidiane. Shyamalan in questa trilogia brilla proprio nei momenti dove si concentra sui tre protagonisti, e si perde un pò quando gira intorno agli altri personaggi. Descrive molto bene le varie fasi di una storia a fumetti, con tanto di punti deboli (l'acqua per Dunne o i flash per far cambiare le varie personalità a McAvoy) e piano malvagio nascosto, mentre sembrano quasi inutili - vista la velocità con il quale vengono liquidate - le varie scene di raccordo tra l'amore impossibile con la prima vittima di Split (vista anche come strega del bosco in The VVitch), o il rapporto padre-figlio nella famiglia Dunne, o ancora quello tra Elias e sua madre.

CONCLUSIONE 

Glass è un buon finale per questa piccola trilogia che nessuno si aspettava. Possiamo finalmente dire che Shyamalan è tornato a tutti gli effetti, che il periodo a Hollywood con i big money gli ha solo fatto male, e che invece con i film più piccoli si trova incredibilmente a suo agio. In particolare, gli ha fatto molto bene l'horror, genere con il quale si diverte visibilmente a costruire la scena, tramite piccoli dettagli che si scoprono poco a poco. E in effetti il suo stile lento si sposa benissimo con il genere horror. Aiutano moltissimo in questo caso anche le musiche, veramente da brivido. E quando ogni tanto si lascia andare che allentare la tensione, che sia una delle varie personalità di McAvoy, come Frank o Kevin, o ancora un piccolo cameo Hitchcockiano nel negozio di elettrodomestici, serve solo per aumentare la forza della scena per quando ingrana la marcia giusta. Poi si, c'è anche il twist finale che tutti aspettavano, ma attenzione - potrebbe essere inferiore alle vostre aspettative . VOTO: 3.5 /5

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